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mercoledì 5 marzo 2014

Storie di volley...Julio Velasco


Chissà cosa significa partire da La Plata, città argentina di 790 mila abitanti a 60 chilometri da Buenos Aires e ritrovarsi in un paese straniero. Chissà cosa significa emigrare. E’ quello che ha fatto Julio Velasco. Ha preso la rotta di migliaia di emigranti italiani, ma al contrario. Nato nel 1952, il giovane Julio conobbe il mondo della pallavolo relativamente tardi, ossia quando frequentava l’Università. In quel periodo giocò in qualche selezione del suo ateneo, allenando contemporaneamente le stesse selezioni.
La stoffa del tecnico l’avrà avuta se a 27 anni il presidente del Ferro Carril Oeste decise di affidargli la panchina. In quattro stagioni, dal 1979 al 1982 il giovane allenatore vinse per ben quattro volte il campionato argentino. Non contento, negli stessi anni, occupò il posto di vice allenatore della Nazionale del suo paese, conquistando la medaglia di bronzo ai Mondiali giocati in casa. Fu al termine di questa avventura che l’allora dirigente Giuseppe Cormio si accorse di lui e lo portò in Italia, novello emigrante sì, ma di lusso. Nel Belpaese Julio Velasco si sedette sulla panchina di Jesi, formazione che allora militava in serie A2. Due stagioni, fino al 1985, per riempire il suo bagaglio di esperienza. La sua squadra iniziava a far vedere quel gioco che rese Velasco famoso in tutto il mondo. Ma i risultati non arrivarono. E allora, sliding doors… Modena, che ambiva a sorgere quale realtà maggiore del volley nazionale ed internazionale, lo chiamò. Qui conobbe alcuni giocatori che segnarono la carriera di Velasco e che, viceversa, videro la propria carriera segnata e migliorata. Portata a livelli inimmaginabili. Gli atleti in questione? Fabio Vullo, Franco “Mano di pietra” Bertoli, Luca Cantagalli, Andrea Lucchetta e Lorenzo Bernardi. Colpo di fulmine. Velasco trova i giocatori adatti per la ‘sua’ pallavolo e gli atleti trovano un allenatore che li porterà nell’Olimpo del Volley. Modena è ambiziosa, Velasco altrettanto e forse di più. La formula magica è completata: Julio riporta lo scudetto a Modena. Ma non si limita solo a riportarlo: lo tiene stretto a sé, come fosse cosa sua, per ben quattro stagioni consecutive. Gli sembra di essere tornato ai tempi del Ferro Carril Oeste, la squadra del suo paese. Pure lì vinse quattro campionati di fila. Oltre al tricolore cucito sul petto, Velasco rimpingua ulteriormente il palmares degli emiliani: una Coppa Italia all’esordio e una Coppa delle Coppe. Nel frattempo la Federazione Italiana di Pallavolo lo scruta da lontano e pensa che sì, quell’uomo fa al caso loro. E allora perché non chiamarlo in panchina? La Nazionale ha bisogno di salire ai vertici. La Federazione lo punta e nel 1989 lo porta sulla panchina dell’Italia. Anche qui, colpo di fulmine. La sua ricetta funziona. I suoi insegnamenti si trasformano in punti, vittorie e trofei. Rimane sulla panca azzurra fino al 1996 e si porta a casa tutto, novello cannibale, grazie anche ai suoi ‘pretoriani’ ovvero, Luca Cantagalli, Andrea Lucchetta e Lorenzo Bernardi ai quali si aggiungono Andrea Zorzi, Andrea Giani, Paolo Tomoli, Pasquale Gravina e Marco Bracci. Negli anni cambieranno gli interpreti ma non i risultati, con un palmares che si arricchisce sempre più. Non c’è Nazionale che non tema gli azzurri. Sarà chiamata, non a caso, generazione di fenomeni. In pochi anni la Nazionale italiana si porterà a casa, grazie al tocco magico di Velasco, tre medaglie d’oro agli Europei, due vittorie nel Mondiale e cinque vittorie nella World League. A questi successi vanno anche aggiunti, per dovere di cronaca, un oro nella World Super Challenge e un argento nella World Top Four. Velasco vuole carica e cattiveria agonistica, quelli che lui chiamava “gli occhi della tigre”. I giocatori li avranno, gli occhi della tigre, tanto da essere nominati tutti insieme, dal primo all’ultimo, squadra del secolo dalla federazione internazionale di pallavolo. Ma nella carriera in Nazionale c’è un neo. Se vi capita di sentire un’intervista ad uno di quei giocatori fenomenali, un’ombra di tristezza vela ancora i suoi occhi. Basta chiedere: e l’oro Olimpico? Già, l’oro Olimpico. Scorrendo la bacheca della Nazionale Italiana manca solo quello. Eppure Velasco ci andò vicino. Olimpiadi di Atlanta,  anno 1996, ventiseiesima dell’era moderna. L’Italia passò il girone eliminatorio a mani basse – proseguendo nel racconto farete caso che ‘basse’ centra – e arrivò nella finalissima. Avversario, l’Olanda o Paesi Bassi -, peraltro sconfitta agevolmente per 3-0 nel girone. L’Italia arrivò in finale fin troppo consapevole dei propri mezzi e delle propria superiorità. L’Olanda vinse e l’Italia tutta in lacrime si dovette accontentare, se si può dire, della medaglia d’argento. Già, proprio la generazione di fenomeni. Già, proprio una squadra che poteva vantare giocatori del calibro di Lorenzo Bernardi, Andrea Gradini, Andrea Giani e di un giovanissimo ma già forte Vigor Bovolenta. Ma dall’altra parte della rete i fratelli Van de Goor, Bas e Mike misero in campo più cattiveria agonistica, più fame. Per la cronaca, finì 3-2 per gli Orange. L’oro Olimpico divenne una vera e propria ossessione per gli Azzurri. Neanche a dirlo, è l’unica vittoria che manca alla Nazionale. Nella stagione 1997-’98 passa alla Nazionale Femminile: niente risultati da sottolineare ma l’idea del Club Italia – le migliori giovani promesse del campionato nazionale – è sua.
Sarà forse questa delusione o forse la voglia di cimentarsi in altre sfide che portò Velasco alla decisione di abbandonare la pallavolo. Lo chiamò l’allora presidente della Lazio, Sergio Cragnotti per affidare a lui il ruolo di Direttore Generale, ruolo che accettò. I capitolini da lì a poco entreranno nell’elite del calcio nazionale ed internazionale, ma Velasco non vi contribuì. Divergenze lo portarono a occupare la medesima posizione nell’Inter morattiana. Pochi mesi e l’avventura finì. Rimase lontano da tutto per qualche anno fino a quando, nel 2001, ritornò in sella. C’è la Nazionale ceca da far crescere. Ma gli stimoli mancano, così come i risultati. Velasco non ne vuole più sapere del mondo del volley. Chi poteva far tornare voglia di pallavolo al gaucho se non il campionato italiano, universalmente riconosciuto come il più bello del mondo? Il buon Velasco accetta l’offerta del Piacenza. Miracolo. Gli emiliani arrivano fino alla finale scudetto, persa contro Treviso, risultato comunque storico. Dopo 15 anni a Velasco arriva la telefonata che non si aspetta. E’ Modena che lo rivuole. E lui accetta. Al cuor non si comanda. Ma le cose non vanno come si immaginava e, dopo sole due stagioni, passa a Montichiari. Al primo anno arriva un poco confortante nono posto, la stagione successiva invece non arriva lo scudetto ma arrivano i playoff, bersaglio che i lombardi non centravano da cinque stagioni. Che per Velasco sia l’ora del canto del cigno? Dal 2008 al 2011 guida la Nazionale spagnolo che nel 2007, con Andrea Anastasi in panchina aveva trionfato nel Campionato Europeo, ma anche qui i risultati non arrivano. Accetta l’offerta della Nazionale Iraniana. Molti pensano ad una pensione dorata per l’allora cinquantanovenne allenatore argentino di nascita ma oramai italiano col cuore. E invece all’esordio ecco l’oro nei Campionati Asiatici. In Asia ci sono le tigri, animali fieri. E chi meglio di Velasco ne conosce gli occhi? Il gaucho è tornato e non ha nessuna intenzione di mollare. E il futuro è ancora tutto da scrivere...

foto Volleycountry.com

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