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giovedì 15 gennaio 2015

CE - Ciclismo, parla il tassista di Marco Pantani

Marco Pantani: Una testimonianza importante. A quasi undici anni dalla sua scomparsa, ecco che parla il tassista di Marco Pantani, in un articolo che riportiamo integralmente, per completezza di informazione, dal sito Liberoquotidiano.it.

La mattina del 9 febbraio 2004, ormai quasi undici anni fa, Marco Pantani parte per il suo ultimo viaggio. Dopo il misterioso soggiorno presso l’Hotel Jolly Touring di Piazza della Repubblica, a Milano (nove giorni in cui il prezzo della sua camera sale e scende come se avesse ospitato qualcuno, e durante il quale da una delle tre sim card in suo possesso l’8 febbraio parte una chiamata verso la madre Tonina: eppure, secondo i testimoni Marco avrebbe dovuto essere isolato e senza cellulare), il Pirata chiama un taxi privato e si fa portare a Rimini, dove poi sarà misteriosamente ritrovato senza vita la sera di San Valentino.
IN VIAGGIO CON MARCO - Libero ha contattato l’autista che ha accompagnato Pantani. L’uomo ricorda come all’epoca del processo, chiuso nel 2011, sia stato interrogato diverse volte e in più occasioni sia stato convocato a Rimini dagli inquirenti per ripercorrere e ricostruire i fatti. Dunque, anche a tanti anni di distanza, con molta nitidezza è in grado di raccontarci quella mattina del 9 febbraio: «Ricordo che con Pantani fu un viaggio normale, ogni tanto parlavamo del più e del meno, di qualche sciocchezza. Anche a me piacciono le moto e per un po’ abbiamo parlato di quello». Pantani infatti aveva un’Harley Davidson Rk Cruise Gran Turismo (nel 2001 costumizzata e aerografata con il disegno di un capo indiano sul serbatoio da un noto elaboratore, Jerry Caronte), che poi è passata di mano e nel 2011 è finita in vendita su eBay. «Pantani mi spiegava che la sua Harley aveva un motore 1.8, bello grosso, fatto realizzare apposta e in più aveva intenzione di montare al posteriore una ruota oversize, di dimensioni ancora più grandi, come capita spesso per quelle moto».
Dunque un viaggio tranquillo, durato circa tre ore, dove Pantani si dimostra amichevole e composto, loquace sulle proprie passioni e con dei piani per il futuro; non certo reduce da un periodo di confusione e straniamento per un presunto isolamento auto-impostosi e magari causato dall’abuso di cocaina nell’hotel di Milano, non certo uno che crede che per lui «non ci sarà un domani», come invece dichiarato da tre ragazzi ospiti dell’albergo quel 14 febbraio 2004, sentiti e messi a verbale pochissimi minuti dopo il ritrovamento del cadavere ma poi mai convocati al processo a deporre. Dunque, l’autista giunge a Rimini poco dopo le 13 insieme a una «persona normale, né drogato, né ubriaco, altrimenti me ne sarei accorto e non lo avrei fatto salire, che si fosse chiamato Marco Pantani oppure Mario Rossi. Si vedeva che era uno con la testa molto "pulita", a posto, sereno, non certo uno che si voleva ammazzare, né uno che aveva la testa fra le nuvole».

I TRE GIUBBOTTI - L’autista lascia Pantani a Piazzale Gondar, a poca distanza dall’Hotel Le Rose situato in viale Regina Elena, senza aiutarlo a scaricare i bagagli dalla vettura perché il nitido ricordo è che il Pirata avesse con sé solo «un marsupio ed una borsa morbida e piccolina». Dunque nessuna traccia di quei giubbotti da sci ritrovati poi nella camera di Marco, quei giubbotti mai notati neppure dall’addetta alle pulizie, che ogni giorno sistemava «il soppalco dove dormiva (Pantani, ndr), il soggiorno e il bagno», ma non ricorda di aver mai visto le tre giacche appese. Chi le ha portate nella stanza D5? È uno degli aspetti che l’inchiesta aperta dal pm di Rimini, Paolo Giovagnoli, dovrà chiarire.



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